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La fucina dell’innovazione sociale
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Al via la prima Study visit di “Comunità che innovano”, il progetto nazionale promosso da alcune Caritas italiane (Torino, Biella, Saluzzo, Trieste, Verona e Senigallia) nato per coinvolgere e formare giovani tra i 18 e i 25 anni sulle nuove forme di intervento contro la povertà e lo sviluppo dei territori. Lo scopo è quello di dare gli strumenti ai giovani per diventare attori dell’innovazione sociale, della cittadinanza attiva e dello sviluppo locale.


Tra i cinquanta vincitori del bando, selezionati tra i numerosi partecipanti (circa 300) tra i giovani più motivati e brillanti, si è creato un gruppo eterogeneo e spinto verso varie direzioni, da quelle più operative a quelle più organizzative e culturali. Il primo incontro si è svolto a Senigallia questo fine settimana (16-18 settembre): nelle tre giornate appuntamenti vari, per comprendere le dinamiche della cooperativa Undicesimaora e dei suoi “figli”, cioè l’azienda agricola, lalibreria Mastai, il campeggio Domus (dove hanno alloggiato i ragazzi), il tour operator Terrerranti, la falegnameria, per conoscere da vicino le testimonianze di imprese socialmente innovative e radicate nel territorio marchigiano e partecipare alla serata al teatro Portone con la presentazione del libro “Taccuino di economia civile” insieme al professor Stefano Zamagni.

I giovani del progetto, provenienti da varie città italiane, sono interessati a operare nello sviluppo come volontari, cittadini attivi, giovani imprenditori, operatori del terzo settore. Visti da vicino sono ragazzi con una marcia in più, interessanti, molto acuti, hanno una visione chiara del settore sociale, critica ma costruttiva, fatta su ragionamenti profondi, non su pregiudizi.

Alessandro viene da Biella, ha 22 anni. Si è laureato pochi giorni fa in Economia aziendale, con un tirocinio in una cooperativa sociale della sua città che si occupa delle emergenze del territorio, il quale gli ha aperto lo sguardo su un mondo che non conosceva da vicino. “L’aspetto culturale per me è fondamentale, la creazione della relazione e la ricerca del benessere dell’ultimo: sono questi i punti su cui rivolgere le mie attenzioni. Penso che la base per rilanciare il sociale sia intervenire nella formazione, nella comunicazione, facendo rete e cominciando dalle scuole: è qui che si può gettare un seme per la creazione di una vera cultura sociale”.

Anna vive a Trieste e ha 19 anni, gli ultimi dei quali trascorsi a fare volontariato. Dopo l’ultimo anno di liceo ha scelto di vivere l’anno di servizio civile volontario in un’associazione che ospita e accoglie richiedenti asilo. Viene da una città di confine, che vanta un’esperienza decennale con i flussi migratori, e che, secondo lei, riesce a gestire abbastanza bene l’impatto dell’ingresso degli stranieri. “Il mio sogno è quella di diventare assistente sociale ma temo il front-office, la burocrazia, la lentezza che spesso appesantisce l’incontro con l’altro. Penso che il primo passo da fare sia verso una maggiore progettualità e un minor formalismo: servono idee e forze nuove, che soffino via l’attuale staticità che mette il freno ai progetti”.

Roberto ha 24 anni ed è di Senigallia. Dopo gli studi come educatore professionale ad Ancona ha terminato il suo anno di servizio civile volontario presso il Centro di solidarietà di Caritas. La curiosità verso il bando è nata dalla possibilità di diventare giovani protagonisti, di essere proponenti e non solo studenti, di imparare mettendosi in prima linea. “Vedo questo progetto come una grande opportunità, sia per scoprire come ci si muove nelle altre realtà e poter riportare nuove esperienze nel locale, sia per imparare a leggere i bisogni dei singoli territori e iniziare a progettare. I bisogni emergenti che noto a Senigallia sono soprattutto di singoli e famiglie che cercano un inserimento più radicato in una società da cui sono stati esclusi: quando riusciremo a ridare dignità e valore alla persona potremo dire di aver vinto la scommessa del sociale”.

Durante la Study visit a Senigallia, prima di una serie di visite, quattro in Italia e tre in ambito europeo, i ragazzi hanno apprezzato molto la condivisione e il confronto, con docenti ed esperti ma anche tra di loro. Scambiarsi esperienze personali nel settore sociale, legate alla propria realtà cittadina, è uno stimolo per riportare a casa idee e per mettere in moto il cervello. “La fase di formazione accompagna i due anni di progetto” spiega Antonio, tutor di Torino, “e serve a leggere i bisogni del territorio, le motivazioni più profonde, ragionando insieme. I ragazzi che sono qui dimostrano alla comunità che sono giovani attivi, vivaci, in pieno fermento di idee. Occorre quella di superare la sussidiarietà che ormai, in questo periodo di post crisi, non funziona più. Ora è il momento di responsabilizzare, di valorizzare i talenti e di muoversi verso nuove direzioni, che abbiano un impatto reale sulla società”.

Sulla realtà di Undicesimaora i commenti dei giovani sono entusiasti. “L’idea della cooperativa è coraggiosa e rivoluzionaria” dice Anna “perché i finanziamenti non bastano più: bisogna guardare in faccia la realtà. Non ci sono fondi sufficienti per sostenere lo sviluppo, quindi ogni proposta innovativa che cerchi sostegno è fondamentale. Dobbiamo dimenticare per sempre l’idea che il sociale si sostiene con la carità: tutto questo è falso e anacronistico”. Anche il piemontese Alessandro vede nella cooperativa sociale una chance: “Quel che più mi piace di Undicesimaora è, a parte il sostenersi con le proprie forze, il fatto che si offre lavoro a persone in difficoltà e che si crea un legame che unisce anche altri lavoratori, i quali si mettono a disposizione dei nuovi assunti. Il sistema della rete è assolutamente moderno e necessario.”

“Spesso la comunità” continua Roberto, giovane di Senigallia, “è incapace di leggere nel diverso l’opportunità, i pregiudizi ti portano a non vedere la persona e le relazioni. Il filo rosso che ci deve tenere uniti è quello dell’umanità”. È sulla società, sulla comunità, quindi, che va puntato l’intervento, i progetti innovativi di questi ragazzi avranno gambe per camminare: ci troviamo esattamente nella fucina della cultura e dell’innovazione sociale del futuro.

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